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- Il triduo Pasquale
- (commento al nuovo
Evangeliario)
- Pierluigi Lia, Rivista
Liturgica, 2013
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- 1. Liturgia, arte, catechesi
-
- Può essere utile raccogliere qualche idea sullintreccio
di liturgia
- e catechesi propiziato da quel singolare protagonista della
- celebrazione che è lEvangeliario. Provo a richiamare
qualche
- aspetto dellevento liturgico che ci permetta di
apprezzarne il
- ruolo.
- La celebrazione non è semplice comunicazione verbale e in
- essa la proclamazione del Vangelo non è performance
narrativa.
- È facile rendersi conto che si dà celebrazione proprio
perché
- si sa già «come va a finire» la narrazione evangelica: la
liturgia
- vive della luce del compimento di quella narrazione che è la
- Pasqua di Gesù. Lì il cristiano riconosce il centro della
storia
- definitivamente rivelato, la sorgente della luce che permette
di
- comprendere lintera vicenda del mondo e quindi di
celebrarne
- la verità salvifica.
- La distinzione tra svelamento e rivelazione è essenziale. Lo
- svelamento mostra come va a finire, rivelazione è
anche figurativamente
- togliere e mettere un velo a favore di una conoscenza
- che ha a che fare con lintimità, con la cura
appassionata.
- Svelamento è messa a nudo, rivelazione è accesso grato al
mistero
- dellaltro. La liturgia è evento eccellente di
rivelazione, un addentrarsi
- progressivo nel mistero che si celebra, non per sapere
- come va a finire, ma per il credito dato alla portata
salvifica di
- una vicenda di cui è noto lepilogo. Se la parola
«catechesi» ha il
- significato di risonanza sempre più profonda della verità
creduta,
- allora la celebrazione liturgica è forma eminente di
catechesi.
- Azione complessa di gesti, parole, spazi, colori, suoni,
profumi
- che permettono di godere della presenza di Dio e dei suoi,
presenza
- che trasfigura il presente senza assolvere dal compito di
- vivere, dalla responsabilità che fa la dignità delluomo
e della
- storia.
- In questo è facile intuire il ruolo primario dellarte
in tutte
- le sue forme. Larte è evento di rivelazione e in quanto
tale ha
- originariamente forma liturgica. La sua identità originaria e
propria
- non è illustrativa o didascalica: non serve a spiegare, ma a
- rivelare e quindi a celebrare. Illustrazione e didascalia sono
sue
- attitudini secondarie.
- LEvangeliario non è una raccolta di testi narrativi
corredato
- da illustrazioni, è protagonista rilevante della liturgia
cristiana
- che sta al centro della rivelazione del mistero della salvezza
che
- lì si celebra e ci sta con la sua presenza di evento
linguistico autenticamente
- artistico.
-
- 2. Il triduo nella risonanza della veglia
madre
-
- Concentriamoci sulla liturgia del triduo pasquale. Il triduo
è
- un tempo-spazio unitario in cui il credente è invitato a
entrare,
- godendo della sua articolazione rituale.
- Una volta intuito che levento liturgico si dà in
ragione del
- suo compimento noto, possiamo accostare il triduo a partire
- dalla veglia pasquale aprendo lì lEvangeliario, così
che sia questa
- celebrazione a generare lo spazio-tempo della sua liturgia e a
- ordinarne limmaginario. La scelta è tanto più
plausibile tenuto
- conto «che lo svolgersi di questa veglia santa canta
il Preconio
- tutto abbraccia il mistero della nostra salvezza» e che
giustamente
- Agostino lha definita «madre di tutte le veglie».
- Spontaneamente associamo questa celebrazione al trionfo
- della luce, eppure si svolge nella notte. È nella notte,
infatti, che
- la comunità si raccoglie per accogliere lannuncio della
risurrezione.
- A ben vedere, in questa veglia la comunità cristiana celebra
la
- notte stessa nella consapevolezza del Risorto: si raccoglie
nella
- notte senza timore della notte perché sa che una notte il suo
- Signore ha debellato per sempre il sodalizio della notte con lorrore
- della morte e con la paura senza speranza. La notte è ormai
- trasfigurata in luogo dellattesa, dellintimità,
di un silenzio carico
- di presenza, di rivelazione dunque. Ciò nondimeno è notte,
- perché il cristiano è consapevole del proprio peccato e del
male,
- conosce la sofferenza e la fragilità, si misura con la morte.
Ma
- la fede del discepolo di Gesù trasfigura le tenebre,
facendone
- luogo della celebrazione di un annuncio di risurrezione,
quindi
- di celebrazione della notte stessa.
- In questa notte risuona la parola evangelica che dice: «Non
- abbiate paura voi, il Crocifisso è risorto, come aveva
detto» (Mc
- 16,6). Ecco dunque tenebra e morte, e un annuncio che trapassa
- oscurità e paura. Così è la celebrazione di questa notte:
celebrazione
- della tenebra solcata da un annuncio. Solo il nonnulla di
- un annuncio a fronte della morte e del buio, un nonnulla che
- però trasfigura la tenebra, un nonnulla per il quale il
raggio di
- una promessa fa balenare, per chi laccoglie, il tempo
eterno del
- giorno di Dio.
- Per questa parola fragile, limmensa cappa delle tenebre
si
- trasfigura divenendo attesa, intimità, custodia del mistero,
rivelazione
- di un presente che sta tutto nella Presenza che accredita
- ogni futuro: il futuro stesso di Dio per luomo.
- È questa visione che Ettore Spalletti fa risuonare nella
pagina
- del Vangelo di questa notte di veglia: tenebra che si può
raccontare
- perché già decisamente trasfigurata dalla presenza fulgida
- doro della pagina futura, che la mano misericordiosa di
Dio ha
- risvoltato per riscattare ogni pagina presente. Notte che,
senza
- ancor essere giorno definitivo delluomo, è presenza del
giorno
- eterno di Dio e per questo può essere celebrata come notte,
- condizione esistenziale di veglia, nellattesa del
risuonare di un
- annuncio per il popolo convocato nella notte del mondo dalla
- presenza del Dio che è già prossimità del giorno eterno.
- In certo modo, questa pagina è pagina madre di tutte le
pagine
- del triduo pasquale, il suo nero è il nero che si diffonde
sulle
- pagine che precedono, innervando il testo della scrittura.
-
- 3. Passione
-
- Con questo nero è tessuta la trama testuale del racconto
evangelico
- che conduce celebrando al centro delle tenebre
che
- dallora sesta allora nona coprirono tutta la terra
per trasfigurarsi,
- proprio lì, in unardita scrittura di luce.
- La celebrazione del venerdì santo è certo unesperienza
di
- tenebra. Lo è si badi solo in quanto
celebrazione: allora nona
- del venerdì è giorno nelle nostre città, eppure le «dense
tenebre
- che coprirono tutta la terra» pervadono le chiese e luci e
ceri si
- spengono, laltare si spoglia. Ormai fanno tuttuno
con le pagine
- nere dellEvangeliario, quasi che proprio da lì si
diffondano insieme
- alla voce della lettura celebrativa. Questa stessa si consegna
al
- silenzio con lo spegnersi delle luci di fronte alla risonanza
muta
- e fragorosa dellalto grido di Gesù sulla croce e del
suo respiro
- ultimo, altrettanto muto e fragoroso. Di lì in poi quelle
tenebre
- fanno tuttuno anche con la scrittura bianca che le
lacera irrimediabilmente,
- incidendosi sul nero del foglio che le attesta, e con
- il Crocifisso bianco di luce ineffabile che non possono
trattenere.
- Parola in parole, «Verbo fatto carne» che dissolve il potere
della
- morte, suscitando infiniti riflessi bianchi e oro. Noi
celebriamo
- un evento che attesta tutta la forza drammatica delle tenebre
e
- il loro dilagare proprio perché un morto crocifisso le
dissolve
- infaticabilmente dallinterno e una parola, come
tracciato di luce,
- le incide di nuova eloquenza.
- Questa pagina è esperienza di rovesciamento poderoso: noi
- riteniamo giusto «mettere nero su bianco» le nostre verità,
riteniamo
- che levidenza della vita sinscriva nella luce,
occultando
- lindeterminato percorso che conduce alla morte, come se
questa
- non appartenesse alla sua verità. La scrittura, come la vita,
è il
- tracciato di un limes mortale: confine che tracciamo
contendendo
- disperatamente lidentità del presente col tempo che ci
annienta
- consegnandoci alloblio. Qui, nel tempo-spazio di questa
celebrazione,
- improvvisamente lo statuto della nostra verità e della
- sua scrittura è per sempre sconvolto: una scrittura bianca su
nero
- attesta che lassolutezza del buio è per sempre trafitta
e limmagine
- di un morto crocifisso si profila invincibile nelle tenebre
- che insidiano la terra. E ancora: levento di questa
parola celebrata
- che col suo ammutolire improvviso fa echeggiare il grido
- del Crocifisso, che con la luce dellUomo della croce
prorompe
- nella tenebra, che in una scrittura di luce incide la notte
eterna,
- consente al fedele di fare lesperienza non altrimenti
possibile del
- primo giorno della creazione quando la parola di Dio echeggiò
- vittoriosa su tenebra e vacuità. Esperienza della promessa
originaria
- di Dio grazie allo spazio-tempo della liturgia di questa
- pagina pasquale.
-
- 4. Deposizione
-
- Così quando la liturgia gira pagina perché si dilati il
tempo
- della celebrazione di questa morte, celebrando la deposizione
di
- Gesù nel sepolcro e poi il mistero del sabato, non stupisce
che il
- nero continui a fare da bordone allarticolarsi del
tempo-spazio
- celebrativo.
- Osserviamo la celebrazione della deposizione. Lì si compie
- il mistero dellincarnazione. Luomo pensa
istintivamente alla
- tomba come controparte del grembo e alla morte come consegna
- al grembo della terra. Tuttavia, la terra non è madre se non
per
- puntiglio retorico e il grembo della terra smaschera linganno
del
- grembo materno. Ogni grembo di madre custodisce linvocazione
- muta di un atto di grazia che lo redima dalla sua impotenza
- a garantire la promessa con cui inesorabilmente accompagna la
- vita, lo redima dallinfamante necessità di consegnare
la vita a un
- inesorabile destino di morte. Solo una supponente
superficialità
- può ironizzare sullantica sapienza che riconosce un
peccato originale,
- senso profondo del male che ci segna nella generazione.
- Ma dopo che hai conosciuto il miracolo del Dio di Gesù, dopo
- che hai celebrato il mistero delle tenebre che si sono
addensate
- fino allora nona, vedi che questo sudario di tenebra si
trasfigura
- in un velo di misericordia che, per assoluto paradosso,
diviene
- grembo capace di riscattare il grembo di ogni madre.
- In questa celebrazione il grembo di tenebra mette il cristiano
- in condizione di sperimentare il grembo materno come grembo
- battesimale, grembo che genera il figlio per una costitutiva
destinazione
- battesimale alla vita. Nellevento di queste pagine in
- cui il testo continua a scolpire di luce la tenebra, non
celebriamo
- labbandono di un cadavere alla terra, ma latto
estremo di
- consegna incondizionata di un corpo che, proprio per questa
- incondizionata consegna, può accogliere un gesto supremo di
- misericordia sanante. Un grembo primo e ultimo lo custodisce
- nella sua speranza di vita a riposare per la lunga, immane
fatica
- del mondo.
-
- 5. Il sigillo del sabato
-
- Un duplice sigillo riconosciamo nella celebrazione del sabato
- mattina: quello messo per sigillare la tomba e quello delle
parole
- di una promessa di vita. Il sigillo con cui gli uomini
sanciscono la
- loro consegna allirrefutabilità della morte,
dichiarando menzogna
- ogni promessa di vita, e il sigillo di una parola di
risurrezione
- che trasfigura la morte nel grembo dellattesa: «Dopo
tre giorni
- risorgerò». Il sigillo che pretende di rendere sicura una
tomba e
- il sigillo doro dellhortus conclusus di un grembo
di speranza.
- Grazie al sigillo doro della parola che promette
«risorgerò»,
- il sabato santo è ununica grande celebrazione che si
compie
- nellangolo doro risvoltato della pagina della
«veglia madre di
- tutte le veglie»: «Non è qui. È risorto come aveva
detto».
-
- 6. Amico
-
- Nella celebrazione del triduo il confronto dei due sigilli si
- presenta già nella celebrazione in coena Domini. Il canto del
gallo
- ha posto sotto sigillo la lacerante disfatta di Pietro: «Non
conosco
- quelluomo». È lì Pietro, nella pagina di Mimmo
Paladino,
- quando ormai il sigillo del gallo si è impresso
incancellabile. È
- lì con gli occhi abbassati perché non sa più vedere quelluomo,
- nessun uomo, luomo che è lui stesso. Perché non sa
più reggere
- uno sguardo. È la stessa cecità di Giuda, di ogni uomo i cui
- sensi sono ottusi dal peccato. Di fronte, ecco gli occhi
spalancati
- di Gesù. Levocazione grafica della sindone ce lo fa
riconoscere
- come luomo dei dolori, ma ha gli occhi spalancati. Dal
suo
- sguardo la luce prorompe, vittoriosa sul nero cui la nostra
cecità
- vorrebbe condannarlo. Così guarda intensamente Pietro, lo
conosce
- intimamente, è lamico, come pure Giuda, come ciascuno
- di questi uomini ciechi che siamo noi. «Conosco questuomo»,
- dice quello sguardo e lo tinge del rosso dellamore e fa
fronte
- così, quasi incredulo, alla sua cecità. Sigillo di una
promessa che
- fende la notte, più intensa del canto del gallo.
-
Testo:
P. L. (Rivista Liturgica, 2013)
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